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MATRIOSKA di Dimiter Inkiow e Anna Paolini (focus)

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vedi libro: www.libri.it/matrioska

Nata dalla penna dell’amatissimo scrittore bulgaro Dimiter Inkiow, Matrioska è una fiaba moderna dedicata al souvenir russo per antonomasia: la matrioska, per l’appunto, famosa in tutto il mondo per la peculiare caratteristica di aprirsi a metà e contenere al proprio interno altre bambole apribili di dimensioni decrescenti, fino ad arrivare alla più piccola, di legno pieno.

La genesi di questa bambola tradizionale si perde nei meandri della storia e della geografia: c’è chi dice che sarebbe nata in Giappone, sull’isola di Honshu, come derivazione delle bambole di legno Kokeshi, per essere poi importata in Russia nel XIX secolo dalla moglie del collezionista d’arte Savva Mamontov, chi afferma che fu creata da un monaco russo e chi ne individua l’origine nelle scatole cinesi, anch’esse di grandezza crescente e inserite le une all’interno delle altre.

Sappiamo però con certezza che è stato l’artista Sergej Maljutin a creare l’iconografia classica della matrioska come la conosciamo oggi: una contadinella dalla faccia rotonda, le guance rosee e gli occhi luminosi, che indossa il sarafan, lo sgargiante abito tradizionale russo, e porta sulla testa un fazzoletto a fiori dai colori vivaci, da cui spuntano ciuffi di capelli pettinati con cura.

Qualunque sia la sua origine, la matrioska è indubbiamente un oggetto dal forte valore simbolico, a partire dal nome, che non a caso include la radice latina di mater. ‘Madre’ viene definita infatti la matrioska più grande, al cui interno sono contenute tutte le altre, in una riproduzione del grembo materno che reca in sé un corpo più piccolo. Simbolo di maternità e fertilità, la matrioska evoca anche l’idea dell’inesauribile ciclicità della vita; non a caso, se la più grande è detta ‘madre’, quella più piccola è chiamata ‘seme’ e rappresenta la parte più pura e invisibile, che può essere scovata solo se si ha la pazienza di andare in profondità. In una prospettiva ambivalente e a doppio senso, la ‘madre’ e il ‘seme’ sembrano condividere la facoltà di generare tutti gli altri strati; così, in questo oggetto all’apparenza così semplice, l’uno e il molteplice, il principio e la fine si incontrano e si confondono in una feconda coincidenza degli opposti. In un esempio quanto mai concreto di mise en abyme, teoricamente ogni matrioska può contenere al proprio interno infinite altre matrioske, e allo stesso tempo può essere contenuta all’interno di altre infinite volte; ed è proprio su questo susseguirsi potenzialmente infinito di bambole concentriche che si gioca la narrazione di Dimiter Inkiow.

La storia narra di un falegname la cui specialità è scolpire bellissime bambole di legno, tutte allegre e variopinte. Un giorno, l’uomo crea una bambola talmente bella che decide di non venderla e la tiene per sé dandole il nome di Matrioska. Una bella mattina la bambola sembra magicamente prendere vita e gli dice di sentirsi triste e sola, e che vorrebbe avere un figlio. Il falegname, incredulo, sulle prime sospetta di aver bevuto troppa vodka ma quando, il giorno dopo, Matrioska gli chiede di nuovo un figlio, al pover’uomo non rimane altra scelta che accontentarla. Così si mette al lavoro e crea Trioska, la figlia di Matrioska, identica a lei ma più piccola. Matrioska è felicissima, ma poi gli chiede di metterle la figlia nella pancia, e al pover’uomo non rimane altra scelta che accontentarla; tuttavia, dopo poco, anche Trioska gli chiede un figlio da tenere nella pancia, e anche la figlia di Trioska fa lo stesso… Il povero falegname si vede già condannato per l’eternità a creare bamboline sempre più piccole, ma per fortuna grazie a uno stratagemma riesce a spezzare la catena... continua

Mirta Cimmino

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Nata dalla penna dell’amatissimo scrittore bulgaro Dimiter Inkiow, Matrioska è una fiaba moderna dedicata al souvenir russo per antonomasia: la matrioska, per l’appunto, famosa in tutto il mondo per la peculiare caratteristica di aprirsi a metà e contenere al proprio interno altre bambole apribili di dimensioni decrescenti, fino ad arrivare alla più piccola, di legno pieno.

La genesi di questa bambola tradizionale si perde nei meandri della storia e della geografia: c’è chi dice che sarebbe nata in Giappone, sull’isola di Honshu, come derivazione delle bambole di legno Kokeshi, per essere poi importata in Russia nel XIX secolo dalla moglie del collezionista d’arte Savva Mamontov, chi afferma che fu creata da un monaco russo e chi ne individua l’origine nelle scatole cinesi, anch’esse di grandezza crescente e inserite le une all’interno delle altre.

Sappiamo però con certezza che è stato l’artista Sergej Maljutin a creare l’iconografia classica della matrioska come la conosciamo oggi: una contadinella dalla faccia rotonda, le guance rosee e gli occhi luminosi, che indossa il sarafan, lo sgargiante abito tradizionale russo, e porta sulla testa un fazzoletto a fiori dai colori vivaci, da cui spuntano ciuffi di capelli pettinati con cura.

Qualunque sia la sua origine, la matrioska è indubbiamente un oggetto dal forte valore simbolico, a partire dal nome, che non a caso include la radice latina di mater. ‘Madre’ viene definita infatti la matrioska più grande, al cui interno sono contenute tutte le altre, in una riproduzione del grembo materno che reca in sé un corpo più piccolo. Simbolo di maternità e fertilità, la matrioska evoca anche l’idea dell’inesauribile ciclicità della vita; non a caso, se la più grande è detta ‘madre’, quella più piccola è chiamata ‘seme’ e rappresenta la parte più pura e invisibile, che può essere scovata solo se si ha la pazienza di andare in profondità. In una prospettiva ambivalente e a doppio senso, la ‘madre’ e il ‘seme’ sembrano condividere la facoltà di generare tutti gli altri strati; così, in questo oggetto all’apparenza così semplice, l’uno e il molteplice, il principio e la fine si incontrano e si confondono in una feconda coincidenza degli opposti. In un esempio quanto mai concreto di mise en abyme, teoricamente ogni matrioska può contenere al proprio interno infinite altre matrioske, e allo stesso tempo può essere contenuta all’interno di altre infinite volte; ed è proprio su questo susseguirsi potenzialmente infinito di bambole concentriche che si gioca la narrazione di Dimiter Inkiow.

La storia narra di un falegname la cui specialità è scolpire bellissime bambole di legno, tutte allegre e variopinte. Un giorno, l’uomo crea una bambola talmente bella che decide di non venderla e la tiene per sé dandole il nome di Matrioska. Una bella mattina la bambola sembra magicamente prendere vita e gli dice di sentirsi triste e sola, e che vorrebbe avere un figlio. Il falegname, incredulo, sulle prime sospetta di aver bevuto troppa vodka ma quando, il giorno dopo, Matrioska gli chiede di nuovo un figlio, al pover’uomo non rimane altra scelta che accontentarla. Così si mette al lavoro e crea Trioska, la figlia di Matrioska, identica a lei ma più piccola. Matrioska è felicissima, ma poi gli chiede di metterle la figlia nella pancia, e al pover’uomo non rimane altra scelta che accontentarla; tuttavia, dopo poco, anche Trioska gli chiede un figlio da tenere nella pancia, e anche la figlia di Trioska fa lo stesso… Il povero falegname si vede già condannato per l’eternità a creare bamboline sempre più piccole, ma per fortuna grazie a uno stratagemma riesce a spezzare la catena... continua

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