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Cos'è un “bel” lavoro, come lo si riconosce? E come lo si trova?

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Quando ci svegliamo la mattina, siamo felici di quel che ci aspetta? Del lavoro che faremo per gran parte della nostra giornata? Tutti abbiamo in testa un’idea di quel che ci piace – o ci piacerebbe – fare. Un sogno, a volte addirittura una “vocazione”, come si dice di alcuni mestieri come il medico o l’insegnante. Il lavoro è una attività che occupa la maggior parte del nostro tempo per la maggior parte della nostra vita adulta. Ed è bene quindi che ci faccia sentire bene.
Bisogna allora capire come creare e trovare “lavoro di qualità”, «lavoro che sappia ricomporre le esigenze di competitività delle imprese con le aspirazioni e i desideri dei singoli», come si legge nel libro “Un bel lavoro” (editrice Egea). Ospite di questa puntata del podcast è l'autore, Alfonso Fuggetta, professore Ordinario di Informatica presso il Politecnico di Milano e amministratore delegato e direttore scientifico del centro di ricerca Cefriel, da molti anni tra le aziende virtuose dell'RdS network.
Il libro delinea dieci grandi temi per costruire la definizione del buon lavoro, il “bel” lavoro appunto. Mettendosi nei panni di un giovane, Fuggetta è convinto che uno degli aspetti più importanti da considerare sia «la possibilità di imparare», cioè il fatto che l'azienda offra «non soltanto i corsi per la formazione, ma uno stile di lavoro, un ambiente lavorativo in cui sono previste diverse modalità di sviluppo personale».
Peraltro è raro che una persona sappia fin da giovanissima quali sono di preciso i suoi talenti e le sue inclinazioni : «Quindi provare vari ambiti professionali, o varie mansioni nello stesso ambito professionale, può essere utile»: senza esagerare, naturalmente, per non finire a fare “job hopping”.
Fuggetta sottolinea nel libro e nella conversazione podcast che a fronte di tanti giovani senza lavoro, i diplomati ITS o i laureati in ingegneria trovano spesso un'occupazione prima ancora di finire gli studi. Ma c'è un tema di sovraffollamento di alcune università: «Abbiamo bisogno di più poli universitari» afferma, contrastando con decisione la retorica che punta il dito sul numero eccessivo di atenei in Italia: «Devono essere centrati sulle materie per cui c'è maggiore richiesta», però: e contemporaneamente andrebbe fatto «un piano complessivo che dica quante persone formare».
Alfonso Fuggetta discute con la fondatrice della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina anche lo spinoso tema dei salari bassi e dei giovani sottopagati, con una riflessione schietta su come sia spesso la pubblica amministrazione a proporre le retribuzioni più basse, per esempio con le gare e gli appalti al massimo ribasso. E allora bisognerebbe pretendere uno «Stato che paga bene, che paga il giusto», e che non sia invece il primo «a generare la compressioni dei salari: se il pubblico iniziasse a spendere in maniera più responsabile i suoi soldi, probabilmente un effetto positivo sul mercato lo si avrebbe». Perché anche alle aziende private arriverebbe un buon esempio che ora manca.

Il libro del cuore di Alfonso Fuggetta è “La quinta disciplina” di Peter M. Senge, docente al MIT di Boston, pubblicato in italiano da Sperling & Kupfer con il sottotitolo “L'arte e la pratica dell'apprendimento organizzativo”. Ma Fuggetta suggerisce accanto a questo anche un grande classico della narrativa, “Il gioco delle perle di vetro” di Hermann Hesse (Mondadori), «che racconta tra l'altro la storia di un educatore: il suo discorso finale prima di abbandonare la comunità di Castalia è una cosa meravigliosa, che dovrebbe essere anche l'ispirazione di tutti noi docenti – e non solo».

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Bisogna allora capire come creare e trovare “lavoro di qualità”, «lavoro che sappia ricomporre le esigenze di competitività delle imprese con le aspirazioni e i desideri dei singoli», come si legge nel libro “Un bel lavoro” (editrice Egea). Ospite di questa puntata del podcast è l'autore, Alfonso Fuggetta, professore Ordinario di Informatica presso il Politecnico di Milano e amministratore delegato e direttore scientifico del centro di ricerca Cefriel, da molti anni tra le aziende virtuose dell'RdS network.
Il libro delinea dieci grandi temi per costruire la definizione del buon lavoro, il “bel” lavoro appunto. Mettendosi nei panni di un giovane, Fuggetta è convinto che uno degli aspetti più importanti da considerare sia «la possibilità di imparare», cioè il fatto che l'azienda offra «non soltanto i corsi per la formazione, ma uno stile di lavoro, un ambiente lavorativo in cui sono previste diverse modalità di sviluppo personale».
Peraltro è raro che una persona sappia fin da giovanissima quali sono di preciso i suoi talenti e le sue inclinazioni : «Quindi provare vari ambiti professionali, o varie mansioni nello stesso ambito professionale, può essere utile»: senza esagerare, naturalmente, per non finire a fare “job hopping”.
Fuggetta sottolinea nel libro e nella conversazione podcast che a fronte di tanti giovani senza lavoro, i diplomati ITS o i laureati in ingegneria trovano spesso un'occupazione prima ancora di finire gli studi. Ma c'è un tema di sovraffollamento di alcune università: «Abbiamo bisogno di più poli universitari» afferma, contrastando con decisione la retorica che punta il dito sul numero eccessivo di atenei in Italia: «Devono essere centrati sulle materie per cui c'è maggiore richiesta», però: e contemporaneamente andrebbe fatto «un piano complessivo che dica quante persone formare».
Alfonso Fuggetta discute con la fondatrice della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina anche lo spinoso tema dei salari bassi e dei giovani sottopagati, con una riflessione schietta su come sia spesso la pubblica amministrazione a proporre le retribuzioni più basse, per esempio con le gare e gli appalti al massimo ribasso. E allora bisognerebbe pretendere uno «Stato che paga bene, che paga il giusto», e che non sia invece il primo «a generare la compressioni dei salari: se il pubblico iniziasse a spendere in maniera più responsabile i suoi soldi, probabilmente un effetto positivo sul mercato lo si avrebbe». Perché anche alle aziende private arriverebbe un buon esempio che ora manca.

Il libro del cuore di Alfonso Fuggetta è “La quinta disciplina” di Peter M. Senge, docente al MIT di Boston, pubblicato in italiano da Sperling & Kupfer con il sottotitolo “L'arte e la pratica dell'apprendimento organizzativo”. Ma Fuggetta suggerisce accanto a questo anche un grande classico della narrativa, “Il gioco delle perle di vetro” di Hermann Hesse (Mondadori), «che racconta tra l'altro la storia di un educatore: il suo discorso finale prima di abbandonare la comunità di Castalia è una cosa meravigliosa, che dovrebbe essere anche l'ispirazione di tutti noi docenti – e non solo».

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