Principessa, schiava e infine suora
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PRINCIPESSA, SCHIAVA E INFINE SUORA di Rino Cammilleri
Oggi parliamo di una suora africana, negra ed ex schiava. No, non si tratta di Giuseppina Bakhita, che è già canonizzata. Mi riferisco a Teresa Chikaba, che non era sudanese come Bakhita, ma veniva dall’Africa subsahariana, quella che ai suoi tempi veniva chiamata Africa nera. Teresa Chikaba è in attesa di beatificazione, e sarebbe anche l’ora, dati i molti miracoli testimoniati per sua intercessione. Ma andiamo con ordine. Non sappiamo se avesse altri nomi oltre a Chikaba; in base ai suoi racconti sappiamo che era nata in Guinea nel 1676 e che era una principessa. Ora, il termine principessa ci fa subito pensare alle case reali europee, col loro fasto e le trine e le parrucche incipriate. Quanto fosse esteso il "regno" di suo padre non è dato conoscere, ma è probabile che quest’ultimo non fosse altro che uno dei tanti capitribù. Chi comandava davvero da quelle parti erano i portoghesi, che avevano fatto della Guinea, insieme ai confinanti Angola e Mozambico, una loro colonia fin dal secolo precedente. Sì, perché, dopo che il rullo islamico aveva spazzato via l’Africa romana e cristiana, il continente aveva visto secoli di guerre inter-tribali per procurarsi schiavi da vendere agli arabi. Fino a quando i navigatori portoghesi nel XV secolo non inaugurarono il ritorno dei missionari al seguito dei coloni.
FUTURA REGINA
Dietro esploratori e poi coloni spagnoli, francesi e, via via, olandesi belgi, inglesi, tedeschi e infine italiani, la parola Vangelo era rientrata in Africa, con i suoi successi più o meno limitati e i suoi, ovviamente, martiri. Per questo è altresì probabile che la famiglia di Chikaba, i suoi genitori e i fratelli fossero venuti in contatto con i missionari cattolici, dato che questi sempre seguivano la fondazione di una colonia da parte di una potenza cattolica. Lei stessa narrò che, una volta, dovendo seguire la sua famiglia nel prescritto pellegrinaggio all’idolo che i nativi chiamavano Lucero, mentre eseguiva la prostrazione rituale sentì una sorta di vuoto dentro, un senso di insoddisfazione infinita, una delusione cocente. Perché? Qualunque cosa fosse quella sensazione inaudita e insopportabile, fu forse l’inizio della sua conversione. In ogni caso, il risultato fu per lei un desiderio di imitazione dei missionari cristiani, nel senso che da allora prese a occuparsi dei malati, dei bambini, dei bisognosi con un trasporto che finì col procurarle la stima degli altri indigeni. Tanto da allarmare i suoi fratelli. Infatti, questi temevano che, quando fossero morti i loro genitori, il popolo avrebbe riversato il suo favore su Chikaba, eleggendo lei come regina e defraudando le aspettative dei maschi della famiglia sul trono. Chikaba dovette fare i salti mortali per rassicurarli: non aveva alcuna mira politica, anche se non sapeva bene nemmeno lei che cosa volesse nella vita. In ogni caso, ci pensarono gli eventi a decidere per lei.
RAPITA DAGLI SPAGNOLI
Un brutto giorno un raid di razziatori spagnoli rapì lei e altri nativi per venderli come schiavi. Non avrebbe rivisto mai più la sua terra e la sua famiglia. Caricata con gli altri schiavi su una nave, fu portata in Spagna. Durante il tragitto i trafficanti appresero che si trattava di una principessa e cominciarono a trattarla bene. Oh, non per riguardo al rango, ma perché da lei si poteva cavare un miglior prezzo. Infatti, venne acquistata dai duchi di Mancera, che la portarono nel loro palazzo di Madrid. La differenza tra gli schiavi domestici nei luoghi cattolici e in quelli protestanti stava in questo: i primi erano considerati dei paggi e praticamente adottati, entravano cioè a far parte della famiglia, come si può vedere in molti dipinti dell’epoca. Gli spagnoli non tenevano dunque schiavi? Sì, ma si trattava quasi sempre di saraceni catturati e messi ai remi o adibiti ai lavori più pesanti, in attesa di poterli scambiare con gli schiavi cristiani in mano ai barbareschi o ai turchi. Chikaba poté dunque per l prima volta in vita sua indossare dei veri abiti e nutrirsi con una vera cucina, dormire in un vero letto e avere una o più stanze tutte per sé. Volentierissimo accolse il Battesimo, per il quale ebbe gli stessi duchi come padrini. Si accorse anche di aver trovato quel che sempre aveva cercato, che il cristianesimo riempiva totalmente quel vuoto che le si era impresso dolorosamente dentro da quando era andata ad adorare Lucero. E tanto sul serio prese il suo Battesimo che, compiuti i ventiquattro anni, espresse il desiderio di farsi suora. Si tenga presente che la sua educazione, i suoi modi e la famiglia adottiva le avrebbero consentito un buon matrimonio. Gli spagnoli non erano razzisti: Darwin era inglese e di là da venire. Forse che il padre di san Martino de Porres non era un gentiluomo spagnolo (e la madre una africana?)? Forse che molti conquistadores non si erano sposati con donne incas e azteche? Forse che il grande scrittore Garcilaso de la Vega non era di madre inca? E poi una buona dote non avrebbe mancato di attirare gli hidalgos iberici.
GLI ANNI IN CONVENTO
No, la vocazione di Chikaba era sincera e totale. Solo che c’era un problema. Nessun convento la accettava. Sì, c’entrava proprio il colore della sua pelle. Non c’erano precedenti di suore africane in Spagna, e una suora negra avrebbe finito col trasformare il convento in cui fosse ospitata in un’attrazione per i curiosi, con nocumento della necessaria clausura, una clausura che - va detto - a quel tempo era piuttosto larga e certe visite altolocate non si potevano rifiutare. Solo nel 1708, convinto dalla schiettezza della sua vocazione, l’Arcivescovo di Salamanca ordinò alle suore domenicane del Terz’ordine di Santa Maria Maddalena di accoglierla come conversa. Finalmente, Chikaba poté prendere il velo e il nome religioso di Teresa. Malgrado la sua estrazione nobile, si adattò facilmente ai lavori domestici ai quali fu adibita. Ci vollero ancora degli anni prima che un altro Vescovo decidesse di ammetterla ai voti. E finalmente fu suora domenicana. I quarant’anni di vita che le restavano li trascorse tutti lì, a Salamanca, nel convento dove aveva spazzato e lavato i pavimenti. Morì in odore di santità il 6 dicembre 1748. Il suo corpo riposa nel monastero che a Salamanca chiamano delle Duenas. Molti miracoli sono attribuiti a questa principessa africana, schiava, adottata dal duca di Mancera, suora domenicana. I progressi del suo processo canonico? Mistero. Sotto papa Bergoglio tutti i lavori della Congregazione apposita sono stati segretati, chissà perché.
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PRINCIPESSA, SCHIAVA E INFINE SUORA di Rino Cammilleri
Oggi parliamo di una suora africana, negra ed ex schiava. No, non si tratta di Giuseppina Bakhita, che è già canonizzata. Mi riferisco a Teresa Chikaba, che non era sudanese come Bakhita, ma veniva dall’Africa subsahariana, quella che ai suoi tempi veniva chiamata Africa nera. Teresa Chikaba è in attesa di beatificazione, e sarebbe anche l’ora, dati i molti miracoli testimoniati per sua intercessione. Ma andiamo con ordine. Non sappiamo se avesse altri nomi oltre a Chikaba; in base ai suoi racconti sappiamo che era nata in Guinea nel 1676 e che era una principessa. Ora, il termine principessa ci fa subito pensare alle case reali europee, col loro fasto e le trine e le parrucche incipriate. Quanto fosse esteso il "regno" di suo padre non è dato conoscere, ma è probabile che quest’ultimo non fosse altro che uno dei tanti capitribù. Chi comandava davvero da quelle parti erano i portoghesi, che avevano fatto della Guinea, insieme ai confinanti Angola e Mozambico, una loro colonia fin dal secolo precedente. Sì, perché, dopo che il rullo islamico aveva spazzato via l’Africa romana e cristiana, il continente aveva visto secoli di guerre inter-tribali per procurarsi schiavi da vendere agli arabi. Fino a quando i navigatori portoghesi nel XV secolo non inaugurarono il ritorno dei missionari al seguito dei coloni.
FUTURA REGINA
Dietro esploratori e poi coloni spagnoli, francesi e, via via, olandesi belgi, inglesi, tedeschi e infine italiani, la parola Vangelo era rientrata in Africa, con i suoi successi più o meno limitati e i suoi, ovviamente, martiri. Per questo è altresì probabile che la famiglia di Chikaba, i suoi genitori e i fratelli fossero venuti in contatto con i missionari cattolici, dato che questi sempre seguivano la fondazione di una colonia da parte di una potenza cattolica. Lei stessa narrò che, una volta, dovendo seguire la sua famiglia nel prescritto pellegrinaggio all’idolo che i nativi chiamavano Lucero, mentre eseguiva la prostrazione rituale sentì una sorta di vuoto dentro, un senso di insoddisfazione infinita, una delusione cocente. Perché? Qualunque cosa fosse quella sensazione inaudita e insopportabile, fu forse l’inizio della sua conversione. In ogni caso, il risultato fu per lei un desiderio di imitazione dei missionari cristiani, nel senso che da allora prese a occuparsi dei malati, dei bambini, dei bisognosi con un trasporto che finì col procurarle la stima degli altri indigeni. Tanto da allarmare i suoi fratelli. Infatti, questi temevano che, quando fossero morti i loro genitori, il popolo avrebbe riversato il suo favore su Chikaba, eleggendo lei come regina e defraudando le aspettative dei maschi della famiglia sul trono. Chikaba dovette fare i salti mortali per rassicurarli: non aveva alcuna mira politica, anche se non sapeva bene nemmeno lei che cosa volesse nella vita. In ogni caso, ci pensarono gli eventi a decidere per lei.
RAPITA DAGLI SPAGNOLI
Un brutto giorno un raid di razziatori spagnoli rapì lei e altri nativi per venderli come schiavi. Non avrebbe rivisto mai più la sua terra e la sua famiglia. Caricata con gli altri schiavi su una nave, fu portata in Spagna. Durante il tragitto i trafficanti appresero che si trattava di una principessa e cominciarono a trattarla bene. Oh, non per riguardo al rango, ma perché da lei si poteva cavare un miglior prezzo. Infatti, venne acquistata dai duchi di Mancera, che la portarono nel loro palazzo di Madrid. La differenza tra gli schiavi domestici nei luoghi cattolici e in quelli protestanti stava in questo: i primi erano considerati dei paggi e praticamente adottati, entravano cioè a far parte della famiglia, come si può vedere in molti dipinti dell’epoca. Gli spagnoli non tenevano dunque schiavi? Sì, ma si trattava quasi sempre di saraceni catturati e messi ai remi o adibiti ai lavori più pesanti, in attesa di poterli scambiare con gli schiavi cristiani in mano ai barbareschi o ai turchi. Chikaba poté dunque per l prima volta in vita sua indossare dei veri abiti e nutrirsi con una vera cucina, dormire in un vero letto e avere una o più stanze tutte per sé. Volentierissimo accolse il Battesimo, per il quale ebbe gli stessi duchi come padrini. Si accorse anche di aver trovato quel che sempre aveva cercato, che il cristianesimo riempiva totalmente quel vuoto che le si era impresso dolorosamente dentro da quando era andata ad adorare Lucero. E tanto sul serio prese il suo Battesimo che, compiuti i ventiquattro anni, espresse il desiderio di farsi suora. Si tenga presente che la sua educazione, i suoi modi e la famiglia adottiva le avrebbero consentito un buon matrimonio. Gli spagnoli non erano razzisti: Darwin era inglese e di là da venire. Forse che il padre di san Martino de Porres non era un gentiluomo spagnolo (e la madre una africana?)? Forse che molti conquistadores non si erano sposati con donne incas e azteche? Forse che il grande scrittore Garcilaso de la Vega non era di madre inca? E poi una buona dote non avrebbe mancato di attirare gli hidalgos iberici.
GLI ANNI IN CONVENTO
No, la vocazione di Chikaba era sincera e totale. Solo che c’era un problema. Nessun convento la accettava. Sì, c’entrava proprio il colore della sua pelle. Non c’erano precedenti di suore africane in Spagna, e una suora negra avrebbe finito col trasformare il convento in cui fosse ospitata in un’attrazione per i curiosi, con nocumento della necessaria clausura, una clausura che - va detto - a quel tempo era piuttosto larga e certe visite altolocate non si potevano rifiutare. Solo nel 1708, convinto dalla schiettezza della sua vocazione, l’Arcivescovo di Salamanca ordinò alle suore domenicane del Terz’ordine di Santa Maria Maddalena di accoglierla come conversa. Finalmente, Chikaba poté prendere il velo e il nome religioso di Teresa. Malgrado la sua estrazione nobile, si adattò facilmente ai lavori domestici ai quali fu adibita. Ci vollero ancora degli anni prima che un altro Vescovo decidesse di ammetterla ai voti. E finalmente fu suora domenicana. I quarant’anni di vita che le restavano li trascorse tutti lì, a Salamanca, nel convento dove aveva spazzato e lavato i pavimenti. Morì in odore di santità il 6 dicembre 1748. Il suo corpo riposa nel monastero che a Salamanca chiamano delle Duenas. Molti miracoli sono attribuiti a questa principessa africana, schiava, adottata dal duca di Mancera, suora domenicana. I progressi del suo processo canonico? Mistero. Sotto papa Bergoglio tutti i lavori della Congregazione apposita sono stati segretati, chissà perché.
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